Voci dal ghetto, viaggio nell’inferno dei migranti: “Siamo tutti di colore”
In un “non luogo” a un chilometro dal carcere di Rebibbia, a Roma, circa 150 migranti vivono segregati in condizioni disumane
Roma, inizio marzo 2018. L’inverno tarda a congedarsi, ci si ripara ancora sotto pesanti giacconi. Fa freddo, nella Capitale. Lontani dagli occhi delle persone, segregati in un non luogo, 150 migranti vivono, o meglio sopravvivono, nel ghetto di via di Vannina: tentano di scaldarsi improvvisando piccoli fuochi, riscaldano l’acqua dentro secchi per lavarsi e ritrovare un po’ di calore. A un chilometro dal capolinea Rebibbia della metro B, in una delle tante periferie romane, uomini e donne, provenienti per la maggior parte dal Niger e dal Gambia, trascorrono qui le loro giornate. È uno dei cosiddetti “ghetti dei migranti”, elencati e descritti nel secondo rapporto Fuoricampo, pubblicato di recente da Medici Senza Frontiere. Strutture degradate sparse per tutta Italia, dove migliaia di migranti, compresi molti richiedenti asilo e rifugiati, sono costretti a vivere in condizioni disumane, senza alcun tipo d’aiuto da parte delle istituzioni.
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