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Cous cous e biliardino a prova d’integrazione

Ogni estate tante associazioni sparse per l’Italia accolgono decine di bambini sahrawi: l’Asaps, ad Anguillara, è una di queste

«Questa è casa mia». Il piccolo indice di Rafia punta deciso sulla mappa, verso la porzione di terra tra Marocco e Mauritania: il Sahara Occidentale. Ma da quando è nata, 8 anni fa, Rafia non ha mai visto quella che lei chiama casa. Vive con altre 300mila persone nei campi profughi in Algeria. «Lì non c’è lavoro, se non occupazioni volontarie. È  il cuore che ti implica a lavorar», spiega Salek in un italiano misto a spagnolo. È l’accompagnatore di Rafia e di altri dieci bambini sahrawi. Tutti ad Anguillara, sulle rive del lago di Bracciano. Sono ospiti dell’Associazione solidarietà e amicizia popolo sahrawi. L’Asaps ogni estate li accoglie, in collaborazione con vari comuni in giro per l’Italia. È la prima volta che i ragazzini vedono l’azzurro del mare o il verde dei boschi. Una boccata d’aria fresca. Una pausa dalla vita nel deserto algerino.

«Anche lì siamo ospiti, in attesa di un referendum da più di 40 anni», rivendica Salek. La questione sahrawi è iniziata negli anni Settanta, dopo il ritiro della Spagna dal Sahara Occidentale, quando il Marocco ha fatto suoi quei territori. Decenni di scontri e guerriglia. Molti sahrawi sono scappati e hanno trovato rifugio al confine con l’Algeria. Dalla umida costa dell’Atlantico, all’arido entroterra, dove sono rimasti fino ad oggi. La loro speranza è ancora quella di ricongiungersi, un giorno, ai parenti rimasti nella terra che dà il nome al loro popolo: sahrawi significa “che proviene dal Sahara”.

L’Onu, nei primi anni Novanta, ha promesso un referendum di autodeterminazione, mai celebrato. Nel frattempo le Nazioni Unite garantiscono la sussistenza nei campi profughi, dove i più piccoli possono solo sognare la loro terra d’origine. Grazie al racconto dei nonni o a qualche video. Se la geopolitica resta immobile, la società si attiva. Sono tante infatti le associazioni che danno aiuti umanitari. «La solidarietà c’è ed è tanta», dice Carmen Frasca, presidente Asaps.

Ad Anguillara (Roma), in pochi giorni sembra una staffetta di volenterosi. La gente del paese organizza cene e spettacoli di raccolta fondi. I ristoranti offrono i pasti principali, la parrocchia dà un letto a bambini e accompagnatori. Non senza qualche difficoltà: «In passato le amministrazioni ci aiutavano molto di più, adesso invece…», lascia intendere Carmen.

Partite a calcetto o biliardino, tuffi nell’acqua fresca e rossissime fette di anguria. Alcune famiglie del posto lasciano i propri figli per intere giornate in compagnia dei loro coetanei africani. Tra un cous cous e un piatto di pasta, c’è un grande profumo di integrazione.

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