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Def, che fatica: cos’è il documento che fa litigare il governo

Chi è che non fa programmi nella vita? Si programmano le vacanze, le serate con gli amici, il giorno delle nozze. Anche il governo italiano, come tutti noi, deve mettere nero su bianco i propri piani: ogni anno chi guida il nostro paese è chiamato a presentare al Parlamento il Def, Documento di economia e finanza. Una sorta di grande anticipazione per gli anni a venire: si stabiliscono gli obiettivi di politica economica e come lo Stato intenda raggiungerli, si fanno previsioni su grandi indicatori sullo stato di salute dell’Italia quali il Pil, il debito pubblico, il tasso di inflazione e disoccupazione.

Entro il 10 aprile il Parlamento deve approvare questo documento, diviso in tre sezioni: il programma di stabilità, l’analisi e le tendenze della finanza pubblica, il programma nazionale di riforma. Non è una legge, quindi non ha un effetto vincolante – tanto che nel corso dell’anno vengono fatte delle correzioni – eppure sul piano politico ogni cifra e ogni parola che viene inserita nel Def ha un peso specifico importante.  Il documento viene inviato anche a Bruxelles per una valutazione da parte della Commissione europea, che deve stabilire se quanto previsto nel Def non entri in contrasto con le regole e i limiti imposti a livello comunitario.

Ma cosa prevede il Def del 2019? Il dato che desta maggiore preoccupazione è quello sulla crescita economica: il governo ha infatti ammesso che la previsione dell’aumento del Pil dell’1 per cento, fatta a dicembre 2018, è sbagliata e va rivista nettamente al ribasso. L’economia mondiale rallenta e l’Italia non è certo esente da ripercussioni. Se ci sarà crescita, sarà minima: 0,1 per cento, con l’obiettivo, previsto dal cosiddetto scenario programmatico, di arrivare allo 0,2 grazie alle riforme messe in atto. Il rapporto deficit/Pil dovrebbe tornare a salire al 2,4 per cento, per scendere poi negli anni a venire. Discorso simile per il debito pubblico rapportato al Pil, in crescita per il 2019 ma con la speranza (perché in fondo di questo si tratta) che cali dal 2020 in avanti.

Il Def non contiene solo numeri, ma anche indicazioni sulle riforme che verranno attuate. Il Movimento 5 stelle spinge per l’introduzione del salario minimo legale, che andrebbe ad affiancare il reddito di cittadinanza. La grande novità riguarda però la “flat tax”, la tassa piatta che tanto ha fatto parlare di sé in campagna elettorale, cavallo di battaglia del leader della Lega Matteo Salvini. Il sistema attuale prevede un aumento progressivo della tassazione: chi guadagna di più paga più tasse. Con la flat tax, invece, l’aliquota sarà fissa, indipendentemente dal reddito. Una misura che non piace a tutti nel governo, tanto che alla fine nel Def si è arrivati a un compromesso: verrà fissata una prima aliquota al 15 per cento per i redditi familiari fino ai 50mila euro, mentre al di sopra di questa somma sarà del 20 per cento.

Una riforma che dovrà essere inserita nella prossima Legge di Bilancio, ma che sta già facendo discutere per i risvolti che potrebbe avere. Il ministro dell’Economia Giovanni Tria non è di sicuro tra i sostenitori della flat tax: minori entrate per lo Stato derivanti dalla diminuzione delle tasse farebbero sballare i conti. E l’Italia non può permetterselo, ha dei patti e dei vincoli da rispettare con l’Unione europea: nella Legge di Bilancio del 2019 è previsto infatti che in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi stabiliti, l’Iva aumenterà nel 2020 dal 22 al 25,2 per cento e al 26,5 per cento nel 2021. Una mazzata per tutti i cittadini, a meno che il governo non trovi le risorse per cancellare queste cosiddette “clausole di salvaguardia”. Tria ha già avvertito: «L’Iva aumenterà, in attesa di stabilire interventi alternativi». Sia Salvini sia Di Maio lo hanno smentito, dicendo che faranno di tutto per abbassare le tasse agli italiani. Un tema sul quale l’attuale governo si giocherà molto della sua credibilità.

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