“Cara signorina libertà”
Cara signorina libertà,
ti scrivo dalla fine. L’emergenza regale è cessata, o, per meglio dire, di emergenza più non si tratta. Un’emergenza strutturale, ecco cos’è diventata. La guerra – quanto ci piacciono le metafore belliche, la costruzione di un nemico, se poi invisibile ancor meglio – è diventata di trincea, di logoramento. Il re cattivo ci ha causato morti e feriti, in tanti sono stati pianti dai loro cari. Il mondo non è più come lo ricordi, signorina libertà. Le persone stan ora distanti, giappiù per decreto, bensì per mutamento. Si sta distanti, ché la vicinanza è portatrice di malanni. Come porcospini che, per timore delle spine altrui, scelgono di camminare opposti sentieri, così gli umani, vestita la corazza della paura, non escono più senza, né al parco, né in salotto. L’amore, signorina libertà, l’amore è in difficoltà: è sempre lì, naturalmente, a serpeggiare tra i passanti, a danzare in preda al vento. Ma le persone lo ignorano, lo scansano, lo allontanano con un veloce gesto di mano. Ti ricordi, signorina, il nostro ballare fino a far luce, in una spiaggia, in un bosco, in un deserto? Ti ricordi il mesiversario di un bacio, da onorare con sacralità, ironia e devozione? Ricordi l’acquazzone messicano e il vento lanzarotegno? Ricordi le lingue di gatto? Cara signorina, l’emergenza è ora norma: a poco a poco abbiamo ceduto – frammento dopo frammento – pezzi di vita, in cambio di sopravvivenza. I poveri sono sempre poveri, i ricchi sono sempre ricchi. Il virus ha colpito tutti, ma, come in ogni storia, alcuni sono più uguali degli altri. Ma sai, signorina, che il capitalismo si era fermato? Sai che c’era stato un momento in cui abbiamo sperato che, nella tragedia del dolore, un homo novus nascesse e il sistema cambiasse? I cuori di tanti di noi hanno palpitato, piccole sincopi cardiache ci hanno ricordato che un altro mondo era possibile, che terminata la pars destruens c’era tutto da costruire, che le cose potevano prendere un’altra piega, che finalmente era occasione, finalmente il tempo maturo per un mondo giusto, diverso… Ma il palpitar del cuore è rimasto inascoltato, i battiti son stati calpestati dall’urgenza della paura. E così il capitalismo, dopo momenti di sbandamento, ha ripreso il suo ingordo cammino, e i poveri sono diventati ancor più poveri, e i ricchi ancor più ricchi. Solo, siamo tutti più distanti. Con alcuni per strada ci si scambiano ancora occhiate cariche di rimpianto: si è persa l’occasione, ora che il mondo si era fermato, di decidere in che modo farlo girare. Nei nostri sguardi c’è impressa la vergogna: di quei momenti in cui la Storia ti morde le terga e tu la ignori, o al massimo affidi a una storia, però sui social, il tuo moto di cambiamento. Cara signorina, il tuo tragico tempo terminerà, io ti scrivo dalla fine. La malattia sarà debellata, il lavoro riprenderà e il tempo tornerà a scorrere più veloce della vita. Signorina libertà, aspetta domani per avere nostalgia, ma non buttar via l’oggi per lottar per la tua via.