Le coscienze in fila
La fila arriva oltre la farmacia, fa il giro del palazzo e si ferma in un parcheggio semivuoto. Il serpentone di carrelli arancioni si muove a una lentezza di cui si perde cognizione. È qui che si prende coscienza. A un metro e mezzo di distanza l’uno dall’altro. Le mascherine bianche, verdine, nere coprono buona parte del volto. Restano fuori gli occhi che corrono veloci a contare i carrelli avanti. Uno, due, tre, cinque, quattordici, ventisette, trentadue. Tempo stimato: due ore e un quarto. Ognuno per conto suo. Isole sole che riscoprono il silenzio, qui in fila.
È qui che si prende coscienza. Quando si sta soli davvero, col carrello arancione e la propria solitudine. Qualcuno si distrae fotografando il serpentone. Tutti gli altri si chiudono sui loro smartphone o, i meno smart, fissano il vuoto riempito dai grumi arancioni. Nessuno parla con nessuno. Ognuno proiettato nella propria missione settimanale. Chi non lo vive con noia, lo vive come libertà, quel serpentone arancione. L’ora d’aria concessa dalla legge. La solitudine esercitata a casa qui fuori diventa più morbida.
È qui che si prende coscienza. Il virus invisibile diventa visibile nella concretezza del tempo impiegato dall’angolo del palazzo alla porta di ingresso del supermercato. Cambiano i contorni dell’attività più solida della nostra esistenza frenetica: fare la spesa. Quella che prima era un’abitudine noiosa o rilassante diventa un impegno, un obbligo a cadenza dilatata nel tempo, un dovere che diventa un dispendio di energie fisiche e psicologiche.
È qui che si prende coscienza. È qui che si impara, come dice Nadia Terranova, a sorridere con gli occhi. In un misto di empatia e stanchezza che avvicina tutti nella stessa solitudine. Una voce all’altoparlante rompe il silenzio pieno solo del rumore delle ruote dei carrelli e invita i clienti e mantenere la distanza in fila a quelli fuori e a darsi una mossa a quelli dentro. Torna in mente prepotente 1984 di Orwell. La realtà che abbiamo vissuto fino a qualche settimana fa è seppellita sotto un tempo sfladato e dispotico.
È qui che si prende coscienza che quella realtà non esiste più, per ora. È qui, in mezzo al serpentone arancione, che si prende coscienza della libertà è frazionata, distillata a piccole dosi.