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24ore

Qui il nostro reportage per La Repubblica

Mentre tutti dormono, Maria Roman chiude l’ultima valigia. Il sibilo della zip si intrufola nel silenzio della notte, mischiandosi al rumore di un vecchio motore Mercedes. Il furgone che la riporterà in Romania dopo 6 mesi compare in fondo al viottolo attorno alle 2, assieme a un rimorchio già stracolmo di bagagli. Pop, l’autista, scende dal suo nove posti con fare gentile: “Salite, tra poco si parte”. Per lui, la traversata che in 24 ore unisce Perugia e Baia Mare, in Transilvania, non è altro che routine di lavoro da ripetere ogni settimana, al prezzo di 120 euro per passeggero. Maria, invece, la affronta due volte l’anno: 1500 km irti di insidie e controlli alle frontiere. Tutto per rivedere il marito Augustyn e i figli Daniela Roxana e Daniel. Tutto per ritornare, anche se solo per due o tre settimane l’anno, a casa. Un saluto a Quartilio, l’ottantaquattrenne perugino di cui si occupa da ormai cinque anni. Un “Doamne ajută-ne” (Dio aiutaci ndr) bisbigliato sottovoce prima di salire a bordo. E si parte.

A bordo, assieme a Maria, altre sei persone occupano altrettanti sedili. Nella fila di mezzo siede Anka. Al suo ritorno in Italia la aspetta una delicata operazione chirurgica. Ma prima, vuole godersi l’altro ritorno, quello in Romania. Così come la figlia Emanuela, 14 anni e gli occhi grandi della madre. Accanto a loro ci sono anche Iliana, Vasile e un autista che si alternerà con Pop lungo il tragitto, come nella 24ore di Le Mans. Tutti, autisti esclusi, perfetti sconosciuti l’uno per l’altro. Ma con qualcosa in comune: “Siamo tutti romeni, e tutti felici di tornare a casa”.

Colazione notturna

Lo spazio, come è ovvio, è poco, ma il calore del vicino serve a non far caso al freddo dell’inverno umbro, che presto diventerà sloveno, ungherese e infine romeno. Ogni passeggero ha con sé anche una coperta e un cuscino per ripararsi dal freddo e provare a dormire almeno qualche ora. Dopo due chiacchiere per conoscersi nei primi chilometri quasi tutti ci riescono, o almeno ci provano. Non Maria: “Non ce la faccio, è più forte di me. Non riesco ad addormentarmi sapendo che tra poco sarò coi miei figli”.

Dopo meno di tre ore, la prima sosta. Sono le 4 e 37 del mattino, ma è già ora di fare colazione. Nell’autogrill circondato dalla neve ci sono sono soltanto Maria e i suoi compagni di viaggio. Un caffè ciascuno e una sosta al bagno, in un rito che si ripeterà altre quattro o cinque volte a intervalli regolari. Appena fuori l’ingresso della stazione di servizio, avvolta nel suo piumino grigio, Maria scruta pensierosa l’orizzonte. Tra un sorso di caffè e l’altro racconta che la decisione di venire a lavorare in Italia, in realtà, fu obbligata: “Lo fai perché hai bisogno, perché lo devi fare. Se torni a casa non hai il pane da mangiare. Non hai scelta”. A non avere scelta sono la maggior parte delle quasi 900mila badanti presenti in Italia. Circa il 25% viene dall’Europa dell’est. E molte di loro, come Maria, almeno una volta l’anno attraversano l’Europa in autobus, solo per tornare a casa. Sembra scorgerlo già, Fânațe, il suo paese Natale. Un ultimo sorso al caffè e via: “Tra 22 ore saremo a casa”.

Ridi che ti passa

Dopo qualche minuto il pullman riparte in direzione Trieste. L’alba, nascosta dietro alle nuvole e al gelo friulano, sveglia i passeggeri dal torpore. Oltrepassata la prima frontiera, il furgone si rianima. Di musiche romene, ma anche di voci e risa. “Se ridi e scherzi – spiega Maria – non stai a pensare a tutto ciò che può succedere durante il viaggio”. Neanche il tempo di finire la frase che un lampeggiante si accende di fronte al furgone. La polizia slovena intima a Pop di accostare. Un semplice controllo documenti, ma il ricordo di vecchie disavventure fa salire la tensione: “C’è sempre un po’ di paura. Se l’autista o qualche altro passeggero non è in regola siamo tutti nei guai. Una volta siamo stati fermi 3 ore alla frontiera solo perché uno di noi aveva un documento un po’ rovinato”.

Il rischio c’è anche stavolta: Emanuela, la figlia di Anka, ha due carte d’identità: quella italiana, che non le consente l’espatrio in quanto non ancora cittadina del nostro paese; e quella romena, che però è scaduta da qualche mese: “Per rinnovarla dovrei andare in Comune in Romania con mio padre, ma non torno da inizio anno”. La consegna tremante a Pop, che a sua volta la dà agli agenti assieme a tutti gli altri documenti. Anka e Manuela si tengono la mano pregando che vada tutto bene. Se la polizia dovesse accorgersi di qualcosa, rischiano come minimo una multa di 250 euro. Fortunatamente però, dopo qualche minuto, l’agente si riavvicina al finestrino del furgone. Riconsegna i documenti, si sfila gli occhiali da sole e fa un cenno d’intesa a Pop: “Potete ripartire”. 

Il primo pericolo è scampato. Ma alla prossima sosta, come nelle precedenti e nelle successive, ce n’è subito un altro sempre in agguato. “Quando il pullman parcheggia – avverte Maria – Spesso lo aspettano i ladri”. I rimorchi stracolmi di valigie e borse fanno gola a molti malintenzionati. “So di gente che è stata derubata di tutto, picchiata, con l’autista che si è visto puntare il coltello alla gola: se chiamava la polizia, lo uccidevano”.

Per fortuna nessuno aspetta il nostro Mercedes. Il secondo caffè si accompagna a un panino portato da casa e a qualche biscotto. Pop si dà il cambio con il secondo pilota, mentre un tiepido sole fa capolino nel primo pomeriggio sloveno. I raggi del sole amplificano il bianco della neve, caduta copiosa la notte precedente. Con il nuovo autista, dopo qualche decina di chilometri, arriva anche una nuova frontiera: quella ungherese.

Come Las Vegas

Sul pullman cala di nuovo il silenzio. Tra romeni e ungheresi non corre certo buon sangue e ogni eventuale irregolarità non sarà tralasciata. Anche stavolta però, fila tutto liscio. Dopo 15 ore e 3 nazioni attraversate, il più è ormai alle spalle. La notte magiara scende sull’ultimo tratto del viaggio. Pop decide che è tempo di un’ultima sosta, la più lunga.

In un piccolo ristorante sul ciglio della strada è già in tavola una scodella fumante ciascuno di goulash, il piatto tipico ungherese. Un lauto pasto, un brindisi e si riparte, per l’ultima volta. Serve solo un altro paio d’ore per arrivare a Baia Mare: 115mila anime a nord della Transilvania, e un caleidoscopio di luci e addobbi natalizi da far invidia a Las Vegas. È così che il sindaco Catalin Chereches ha provato a far dimenticare ai suoi elettori l’arresto per corruzione avvenuto nel 2016.

Maria, come tutti gli altri, non sta più nella pelle. Ad attenderla al solito parcheggio c’è Daniela Roxana, assieme al fidanzato Claudio. Dopo 24 ore e quasi 3mila chilometri percorsi, madre e figlia possono finalmente riabbracciarsi. Gli occhi si fanno lucidi: “Ci sono lacrime di tristezza, ma anche lacrime di felicità”, come queste. Da ora in poi, Maria non sarà più “sola, come chiunque fa un lavoro come il mio in Italia”. Almeno per qualche settimana. Almeno fino a quando non dovrà risalire su quel vecchio furgone Mercedes. 

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