Silvia Romano non si è convertita volontariamente

Silvia Romano non si è convertita volontariamente. Le stesse persone che per giorni hanno deciso dei suoi spostamenti, che l’hanno tenuta in una stanza, che hanno stabilito quando doveva o non doveva mangiare e persino come doveva vestirsi, l’hanno obbligata a quella conversione.

Un giorno l’hanno consegnata all’uomo che ha eseguito il rito e l’ha resa una di loro, senza che lei potesse decidere, senza che potesse in alcun modo opporsi.

Del resto come avrebbe potuto in quella condizione? Faticava persino a farsi capire chiaramente, era totalmente impotente su quel mondo che aveva intorno e che costantemente decideva di lei. E quando sei così inerme, quando non puoi contrapporre alcuna resistenza, neppure percepisci la violenza, prendi quel che ti è stato imposto come fosse naturale.

Il resto poi lo ha fatto l’abitudine, i canti e le preghiere sentiti tutt’attorno ogni giorno. Ti entra nella testa, lo impari a memoria e in certi casi diventa l’unico appiglio a cui poter confidare qualcosa o in cui poter sperare.

Poi Silvia è cresciuta. Ma non ha mai condannato i suoi genitori per quello che le avevano fatto. Del resto quasi tutti i bambini, come lei, erano stati obbligati a quella stessa conversione. Li ha perdonati, perché ha capito le loro buone intenzioni.

Eppure non aveva mai smesso di chiedersi: perché per una scelta così importante come quella spirituale non si attende l’età della coscienza? Se si potesse scegliere da grandi, allora sì che sarebbe una scelta libera, una scelta vera, una scelta guidata dall’anima e dalla ragione. Una scelta per cui nessuno potrebbe mai dirti che ti è stato imposto.