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Il mito delle statue

Oppressore è chi vince. Chi vince erge la statua del proprio eroe. La statua è il simbolo dell’oppressore. Se è così, ha ragione chi in questi giorni, sull’onda delle proteste dopo la morte di George Floyd, sta ingaggiando una lotta contro le statue simbolo di un’intera storia di oppressioni. Non importa se non simboleggiano direttamente l’oppressione – d’altronde chi starebbe a celebrarla – ma restano il simbolo degli oppressori.

Nomi inseriti nella lavatrice della storia, con un doppio programma di sanificazione ed eroizzazione per diventare: Cristoforo Colombo, Winston Churchil, Mahatma Gandhi (per chi se lo stesse chiedendo, no, Gandhi non era nero, era indiano, e pare ci tenesse molto a precisarlo). E dobbiamo ammettere che di statue di neri se ne contano ben poche, quindi si può anche tirare a casaccio.

A Milano c’è quello di Indro Montanelli e un intero parco a lui dedicato. Dedicato al grande giornalista, non all’uomo che durante la guerra comprò una bambina eritrea di 12 anni per sposarla. Ma chi stabilisce cosa significa cosa? Chi si è comprato il vocabolario dei significati? Sempre loro, gli oppressori. Allora via la statua, via il parco. Come ci hanno insegnato a fare loro, gli oppressori.

Ma si potrebbe fare di meglio. Tipo incendiare quel bosco che compone la scritta “DUX”, o abbattere quel fallo con la medesima scritta eretto davanti a quel Foro molto Italico. Poi però sarebbe meglio non andare troppo indietro nel tempo. Altrimenti ci tocca far esplodere pure il Colosseo, il teatro dove gli schiavi venivano trucidati tra gli scroscianti applausi.

Forse la cosa sta sfuggendo di mano, come in quel mito. Sembra che qualcuno sia riuscito a slegarsi e abbia smesso di stare a guardare le ombre riflesse sul muro. Si è voltato e si è accorto che erano un inganno generato dalle statue che erano sempre state alle sue spalle. Certo non possono essere state quelle statue ad averlo legato. Ma presto lo capirà: si accorgerà del fuoco, della caverna in cui era prigioniero e del mondo là fuori. Mentre noi continueremo a guardarlo come un pazzo, comodi, ignari di stare a guardare soltanto la sua ombra.

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