Beni di primo lusso
A fine novembre scorso il ministro dell’economia Roberto Gualtieri lo annunciò in pompa magna con un post su twitter: “Tagliata la #tampontax. Un primo segnale di attenzione per milioni di ragazze e donne nel decreto fiscale su cui abbiamo lavorato con le deputate di maggioranza di Intergruppodonne”.
Peccato che l’abbassamento dell’Iva dal 22 al 5% approvato dalla maggioranza valeva solo per assorbenti compostabili o riutilizzabili e coppette mestruali, che secondo i dati forniti dall’associazione dei ginecologi Aogoi, rappresentano meno dell’1% di quelli venduti nei supermercati e nelle farmacie.
Nel frattempo, gli alleati di governo del Movimento 5 stelle, con un emendamento a firma del senatore pentastellato Gaspare Antonio Marinello, proponevano di abbassare l’Iva anche sui preservativi, portandola al 10%. Ma l’emendamento, per qualche motivo, fu respinto.
Risultato, ancora oggi sui profilattici come sulla maggior parte degli assorbenti, dei tamponi e di tanti altri “prodotti per la protezione dell’igiene femminile”, come li chiama il decreto fiscale collegato alla scorsa legge di bilancio, i cittadini pagano ancora la stessa aliquota iva che si applica ai gioielli.
Per lo Stato italiano dunque, almeno a fiscali, il sesso protetto e il ciclo mestruale sono ancora considerati un lusso.
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