Maria
Fânațe, Transilvania, Romania, dicembre 2019. In cucina ci sono tutti, Maria Roman, suo marito Augustyn, il figlio Daniel, la figlia Daniela Roxana e il fidanzato Claudio. Parlano del più e del meno, con serenità, come se si vedessero tutti i giorni. Ma non è così. Si vedono tutti i giorni, questo sì, attraverso lo schermo di un telefono o di un computer, perché vivono a migliaia di chilometri di distanza. Maria sta riabbracciando i suoi affetti dopo sei mesi durante i quali non è mai tornata a casa.
Maria Roman ha 47 anni, dal 2008 lavora in Italia come badante. Oggi abita a Perugia, in Umbria, insieme a Quartilio, 84 anni e la voglia di viverne altrettanti. Maria cucina, lava, stira, fa le pulizie, si assicura che Quartilio prenda le medicine. Si prende cura di una casa che non è sua e di un uomo che non è suo marito. Lo fa perché è l’unico modo per prendersi cura della sua di famiglia. “Lavoravo come sarta, 8 ore al giorno per 5 giorni, prendevo 400 euro al mese. Mio marito ha lavorato in miniera, ma i soldi non bastavano, dovevamo mandare i bambini a scuola, comprare tutto il necessario, non avevamo una casa di nostra proprietà”. Vivere in Romania costa meno rispetto a vivere in Italia, ma non abbastanza da poter definire dignitoso uno stipendio di 400 euro al mese. E così, come altre sue connazionali, Maria ha deciso di trasferirsi nel Paese dove gli over 65 sono quasi il 23% della popolazione, per cercare lavoro come badante.

In Italia quella romena è la comunità straniera più numerosa: 1.206.938 residenti stando agli ultimi dati disponibili, il 23% di tutti gli stranieri presenti nel nostro Paese. Sulle badanti connazionali di Maria non si hanno numeri precisi. Secondo i dati dell’Osservatorio Inps sui lavoratori domestici, in Italia, nel 2018, sono stati registrati 859.233 lavoratori regolari. Per la maggioranza si tratta di stranieri (il 71,4%), in larghissima parte donne: l’88,4% per l’esattezza, la percentuale più alta calcolata dal 2009. Il 42,2% viene dall’Europa dell’Est: 362.294 donne che hanno cittadinanza romena, polacca, ungherese, slovacca o bulgara. 219.069 risultano badanti, 142.800 colf. Un rapporto elaborato da DOMINA (Associazione Nazionale Famiglie Datori di Lavoro Domestico) sostiene che nel 2016 i lavoratori domestici di nazionalità romena erano il 20,5% del totale: su 886.125, 181.655 romeni, in maggioranza donne. Un dato che, però, non tiene conto del peso del lavoro irregolare.

Una volta arrivata in Italia, Maria non ha avuto difficoltà a trovare un impiego. Ha inizialmente sostituito una collega polacca con un anziano a Todi. Poi si è spostata a Perugia, da una famiglia del quartiere di San Sisto con cui è rimasta per cinque anni. Infine ha incontrato Quartilio, che da subito si è trovato in sintonia con lei: “Non è facile trovare la persona giusta”, confida l’uomo, che ha perso sua moglie 4 anni fa: “La solitudine è brutta, dopo 4 anni ho sentito la necessità di avere accanto qualcuno, perché non ce la facevo proprio più”. Insieme a far spesa, a messa la domenica, i pomeriggi all’orto, dove i due coltivano frutta e verdura e allevano alcune galline. Maria ormai è una di casa. Conosce bene anche i nipoti di Quartilio, le persone a lui più vicine: “Tutti si sono affezionati a lei, come se fosse stata mia moglie”, “Io mi sono comportata sempre bene, loro mi hanno fatta sentire una di famiglia, ho ricevuto attenzioni e regali” risponde lei sorridendo. Con l’aiuto di Quartilio, la donna ha imparato anche a guidare e ha preso la patente: “Sì ma quando siamo insieme continua a guidare lui”, confida.
Anche San Sisto, circa 20 mila residenti, è diventato ormai familiare alla badante romena: “Non voglio più spostarmi, qui mi conoscono tutti, se vado al supermercato, in edicola o in farmacia, le persone mi salutano, sanno chi sono”.

Un’integrazione pienamente riuscita, si direbbe. Ma per quanto Maria si sia inserita senza problemi nella famiglia di Quartilio, non è successo altrettanto con il resto della società. La 47enne esce raramente di casa senza l’anziano e solo per sbrigare qualche commissione, andare a fare spesa, al massimo per una passeggiata, che fa sempre da sola. Non ha amiche. Si vede poco con suo fratello, anche lui a Perugia per fare il muratore. Una sua scelta, quella di lavorare il più possibile senza distrazioni, senza quelle che lei giudica come perdite di tempo, per tornare, anche solo per qualche giorno in più, a casa sua.
“Io qui mi trovo bene, ma ci sono case in cui la badante è trattata come una schiava”. Maria conosce quelle storie, storie di donne umiliate, private di diritti e dignità, mentre si stanno occupando dei nostri anziani, malati e invalidi, un compito già di per sé estremamente arduo. “È difficile prendersi cura di una persona che non sta bene, che magari non c’è più con la testa. Devi essere sempre in grado di rispondere alle sue esigenze, sempre pronta a scattare, in qualsiasi momento in cui ti chiama” spiega.
Oggi la sua sembra proprio non essere più una di quelle storie, lei ha trovato un posto in cui sta bene. Un lavoro meno pesante di quelli fatti in passato. Ma pur sempre un lavoro. Per quanto tempo una persona può vivere per lavorare? Fino a quando ce n’è bisogno, risponderebbe Maria. E lei ha ancora bisogno di lavorare in Italia, lontana da tutto e da tutti. “Mi vogliono tutti a casa, sarà ora che torno!” esclama in un momento di gioia, a casa sua, in Romania. Poi però ci pensa un po’ su e aggiunge: “Ancora non è il momento: la casa non è finita, mia figlia vuole sposarsi e io devo aiutarla, come mia madre ha aiutato me”.
Fânațe
Fânațe è un piccolo paesino all’estremo nord della Romania. Case, una chiesa e piccole attività che sorgono lungo la strada principale. Tra le abitazioni, in particolare, si notano enormi differenze. “Questa casa è fatta coi soldi dell’Italia, quella coi soldi della Francia”, spiega Maria, volendo indicare che gli inquilini degli edifici più belli e moderni hanno lavorato in Italia o in altri paesi europei e investito qui i loro guadagni.
Non tutti hanno la stessa storia: “Spesso si sono trasferite intere famiglie, oppure marito e moglie, nessuno ha fatto come me, una donna sola in Italia per tutti questi anni”. Maria è fiera del suo sacrificio. E come biasimarla? La casa dove la sua famiglia abiterà a breve è grande, luminosa, bella. Non come quella dove ha vissuto prima di partire, una modesta abitazione a un piano, con piccole stanze, un solo bagno, in campagna, che si raggiunge percorrendo una stradina sterrata che può diventare un fiume di fango in caso di pioggia o neve. Un bel cambiamento, tutto grazie agli sforzi che Maria e la sua famiglia hanno fatto in questi lunghi anni. Anni che, però, nessuno potrà mai restituire loro.
“Nella nuova casa c’è posto per i miei figli, anche per qualche nipote” racconta oggi felice Maria. Un giorno, forse neanche troppo lontano, si ritroveranno tutti qui, sotto lo stesso tetto, finalmente insieme. Dopo anni di sofferenze e rinunce. Per Augustyn, marito di Maria, non è stato affatto semplice crescere i due figli, gestire la casa e costruirne una nuova allo stesso tempo: “Ho dovuto fare sia il padre che la madre” racconta. E affrontare i problemi che quotidianamente vive ogni famiglia di questo mondo, mentre era completamente solo. Soprattutto i primi tempi, quando ancora non c’erano smartphone e nemmeno Skype e WhatsApp. “Se tornassi indietro, a quando 11 anni fa prendemmo questa decisione, non la farei partire da sola”.
A casa di Quartilio, a Perugia, Maria conserva tantissime fotografie dei suoi cari: “Quando mi sembrava di crollare, di non farcela più, le guardavo. Certo, non che ci potessi parlare, però mi aiutava, mi davano forza. E per loro tiravo avanti”.


“Credo che gli italiani sappiano che le badanti straniere lasciano a chilometri di distanza genitori, mariti e figli, ma non gli importa. Di noi non gli importa. Gli interessa solo che le nostre madri, figlie, mogli lavorino per loro” riflette Roxana, 23 anni, infermiera.
Maria, Augustyn, Daniel, Roxana. Una famiglia in letargo da più di dieci anni. Per quanto ancora?
Se andarsene non è facile, non lo è nemmeno tornare dopo tanto tempo. Si chiama “Sindrome Italia” la patologia che colpisce le badanti che, dopo una vita passata ad accudire familiari di altri, fanno ritorno a casa. Uno stress chiamato così per la prima volta nel 2005 da due psichiatri di Kiev che avevano osservato sintomi comuni a molte donne di diversa nazionalità, emigrate per anni ad assistere anziani nei Paesi dell’Europa ricca, lontane dai propri affetti. Secondo Silvia Dumitrache, leader italiana dell’Associazione donne romene, sarebbero un centinaio i bambini morti in Romania per non aver retto all’abbandono delle proprie madri.
La storia di Maria avrà un altro epilogo, lei ne è sicura: “Il mio sogno, lo vuoi sapere? Stare seduta nella terrazza di casa mia, a bermi un bel caffè, finalmente in pace. Succederà anche a me, un giorno”.
