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Whatever it takes

L’attesa messianica è terminata. Godot è arrivato. È finalmente il momento di scrivere “e tutti vissero felici e contenti”. Non è una fiaba, anche se si parla di Draghi. Non è un game over, anche se si parla di super Mario: è invece la fine del gioco, è la vittoria.

È arrivato a Roma in macchina, semplice. In giacca e cravatta, moderato, senza tacchi a spillo e calze a rete. Ha accettato l’incarico del saggio presidente e ha rivolto un saggio discorso al pubblico, con un tono pacato, senza urlare. Ha detto che è un momento “difficile”, lui sì che capisce.

La moglie lo ama, lui ama lei. Non ama invece i cappotti. Al supermercato compra le crocchette per il cane, crede sia giusto dargli da mangiare. E a cena, cena anche lui, non crocchette, ma cibo normale, come noi. E pranza anche, come noi. Sembra proprio un uomo come noi, ma certo non lo è. Lui è Mario Draghi, lui ci ha salvati.

Bazooka, quantitative easing, titoli di stato, che vogliamo capire noi di queste cose? Ma è in questo modo che ci ha salvati e dobbiamo dirlo e ripeterlo, come una preghiera, anche se non ci è dato di capire fino in fondo: “Draghi ci ha salvati, ha salvato l’euro, eh che vuoi saperne tu?”, diciamo così, e saremo certi di non sbagliare.

Faremmo invece meglio a non dire parole come “economista di destra”, “liberista”, “privatizzazioni”, “Berlusconi”, “Monte dei Paschi di Siena”. Ridicole parole da sovranisti, populisti e zecche comuniste.

Quello della mossa del cavallo, lo stratega del coraggio della politica, ha messo a segno una mossa scacchistica che manco Kasparov avrebbe mai pensato: se non puoi ribaltare la partita, puoi sempre ribaltare la scacchiera. Un colpo ben assestato e tutti i pezzi sono volati in aria. E adesso il gioco è cambiato.

Bianchi o neri, ora tutti devono difendere un solo pezzo, il salvatore, Mario Draghi. Difenderlo a tutti i costi. Anzi, “whatever it takes”.

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