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Numero 2

Giugno 1994. Gli Stati Uniti d’America ospitano i Mondiali di Calcio. La favorita è la nazionale brasiliana. Oltre alle europee, però, c’è un’altra nazionale che incuriosisce il mondo intero: è la Colombia guidata da mister Francisco Maturana. 

La nazionale colombiana vola negli Stati Uniti lasciando a casa un paese devastato dalla guerra dei narcotrafficanti. Pablo Escobar – il re della cocaina – è stato ucciso qualche mese prima mentre fuggiva sui tetti di Medellin e ora tutti combattono per ereditare il suo impero. 

Nella Medellin di Pablo Emilio Escobar Gaviria è nato anche il protagonista di questa puntata di Secondi. Si chiama Andres e con Escobar condivide anche il cognome e non solo. A unire i due è la passione per il calcio. Andres, però, non ha niente da spartire col mondo dei narcos. Il suo sangue non è quello di Pablo. Viene da una buona famiglia

Il papà di Andres, Dario, fa il banchiere, ma dedica ogni attimo libero alla nascita di un’organizzazione che regala ai bambini meno fortunati un sogno: quello di poter giocare a calcio. Così Andres cresce con la passione del pallone in una famiglia in cui il calcio è pane quotidiano. 

Si impegna e ce la fa, Andres: è uno degli 11 che vola negli Stati Uniti con la maglia della nazionale. è uno dei difensori dei “Cafeteros” di Francisco Maturana. 

In un’intervista rilasciata prima della partenza, Andres è positivo: alla squadra mancherà la sua gente, ma devono essere concentrati per presentarsi al meglio negli Stati Uniti. 

Il calcio in Colombia è una religione, le aspettative sono altissime e sui “Cafeteros” puntano gli occhi i cartelli della droga. 

La tensione è palpabile. Un mese prima del fischio di inizio dei mondiali, il figlio del centrocampista Luis Fernando Herrera viene rapito. Il portiere Higuita viene incredibilmente condannato a sette mesi di carcere: l’accusa è di aver fatto da intermediario in un sequestro di persona. 

Insomma, la squadra lascia la Colombia in un clima tesissimo. Andres veste la fascia da capitano, non è un giocatore eccezionale, probabilmente il suo nome non passerà alla storia, ma è un buon leader, sa guidare i suoi ed è pronto a farlo sui campi statunitensi. 

Ma la strada della storia è lastricata di imprevisti. L’esordio non è andato bene come ci si aspettava. 

I Cafeteros perdono 3-1 con la Romania. La seconda sfida, quella con i padroni di casa, bisogna vincerla a tutti i costi. Anche perché a chiederlo sono i narcos, che con le minacce di morte a diversi calciatori hanno fatto capire bene che cosa vogliono. 

è il 22 giugno. L’afa consuma i giocatori, ma i Cafeteros sono pronti a portare a casa il risultato. Andres Escobar scende in campo col suo numero due incollato sulla schiena, al braccio la fascia. Sulla carta la Colombia è la favorita. La partita procede per quasi tutto il primo tempo senza azioni eclatanti. Poi al 33’ una scivolata nell’area dei Cafeteros cambia la partita e la storia di Andres. 

Andres si lancia istintivamente in una scivolata e nel tentativo di salvare il salvabile succede l’irrimediabile: la palla finisce in rete e a buttarla dentro è proprio il numero 2 della Colombia. Autogoal. 

Quello che ricordiamo di quella partita sono gli interminabili secondi in cui il capitano resta seduto a terra, lo sguardo nel vuoto, come se il sangue gli si stesse lentamente gelando nelle vene. 

La partita riprende ma niente è più come prima. il primo tempo finisce col vantaggio degli Stati Uniti e la ripresa non è delle migliori. Gli avversari segnano ancora. L’assalto della Colombia continua, segna in extremis ma non basta. Lo stadio esplode: Stati Uniti agli ottavi, Colombia fuori. 

Il ritorno a casa pesa, spaventa, terrorizza. Soprattutto perché in tanti, tantissimi avevano scommesso su quella partita. I narcos non perdoneranno mai la squadra. Ai giocatori viene consigliato di uscire il meno possibile, per non rischiare. Ad Andres, invece, per quell’errore imperdonabile viene consigliato di scusarsi pubblicamente. 

Lo fa, Andres, con una lettera affidata alle pagine del quotidiano “El Tiempo”. “La vita continua”, scrive nelle ultime righe.

Il 2 luglio, a un mese dal matrimonio, dopo una serata in discoteca, Andres viene affiancato da un’auto: un uomo gli punta una pistola contro. Spara sei colpi e mentre spara urla “Autogol, autogol, autogol”. Andres muore in una pozza di sangue, a ucciderlo un uomo del cartello.

Al funerale ci saranno migliaia di persone, migliaia di tifosi che quell’autogol gliel’avevano perdonato.

Da quel momento la maglia numero 2 non viene più indossata. forse viene ritirata per rispetto, forse è solo scaramanzia. 

Nel 2001 la Colombia ospita la Copa America. è il 29 luglio e si sta disputando la finale: la Colombia è arrivata fino in fondo e affronta il Messico. Al 62’ il gol che porterà i Cafeteros ad alzare la coppa. 

A segnarlo è Ivan Ramiro Cordoba. Sulla maglia giallo blu è impresso quel 2. è il numero 2 di Andres Escobar, di un secondo che credeva nei valori sani della vita e del calcio, schiacciati dalla sete di potere e di soldi dei narcos. 

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